(Pseud. sc. 2, a. 3). Ne parla Plinio sotto il nome di Lapathum. L'acetosa contiene, secondo le ultime scoperte, molte materie albuminoidi, il che è dire le materie essenzialmente nutritive, proprie delle carni. La si aggiunge felicemente agli spinacci, ai quali dona un sapore grazioso.
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(Pseud. sc. 2, a. 3). Ne parla Plinio sotto il nome di Lapathum. L'acetosa contiene, secondo le ultime scoperte, molte materie albuminoidi, il che è
In Oriente, dove l'aglio è appunto più dolce del nostro, lo si spolverizza e lo si usa come da noi il pepe. A togliere all'alito il suo odore, vuolsi che giovi il masticar prezzemolo, fave fresche, foglie di ruta similmente fresche e la bieta cotta sotto la cenere. Un bulbo d'aglio schiacciato applicato ai calli, dopo un pediluvio prolungato, li leva facilmente. L'aglio guarisce la pipita alle galline, allontana le serpi e le cimici, è una ghiottoneria degli stornelli. I milanesi dicono: mangia aj, per stizzire. E i toscani: Casa mia, donna mia, pane e aglio vita mia.
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che giovi il masticar prezzemolo, fave fresche, foglie di ruta similmente fresche e la bieta cotta sotto la cenere. Un bulbo d'aglio schiacciato
L'Anice stellato (lllicum anisatum). — Franc.: Badiane. — Ted.: Badian. — Ingl.: Aniseed-Tree, detto anche dal Redi Finocchio della China, è originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto, molto odoroso, e colla distillazione somministrano una preziosissima essenza, nota sotto il nome di essenza di Badiana, simile nei caratteri chimici e negli effetti terapeutici, alle essenze più attive delle ombrellifere nostrali. Infusi nell'acqua e fermentati, se ne ottiene un liquore spiritoso, usato dagli Olandesi nella confezione di vari liquori. Sotto il medesimo nome fu conosciuto dai Greci e dai Latini. Pittagora lo pone fra i migliori condimenti tanto crudo che cotto.
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una preziosissima essenza, nota sotto il nome di essenza di Badiana, simile nei caratteri chimici e negli effetti terapeutici, alle essenze più
Pianta di circa quindici piedi d'altezza, sempre verde, dell'America tropicale, somiglia al limone. Dà fiori piccoli, giallognoli. Si coltiva come il caffè. Nel linguaggio delle piante: Salute. I frutti bislunghi di questa pianta, simili a piccoli citrioli, racchiudono in una poltiglia agro dolce molti semi bianchi (fino a 40), a foggia di mandorle. Questi semi o grani, divenuti di color bruno, grazie ad una specie di fermentazione, sono quelli che in commercio, vengono sotto il nome di grani, semi o fave di cacao, e che torrefatti od abbrustoliti convenientemente si mangiano e servono a preparare confetture, e misti collo zuccaro e droghe, massime vaniglia e canella, servono pure alla fabbricazione della Cioccolatta. I grani del cacao si raccolgono a perfetta maturanza in giugno e dicembre, e in tale stato la polpa che avviluppa i semi è morbida, addotta, piacevole, molto rinfrescante e salubre, che gli indigeni trasformano in liquore vinoso, bevanda graditissima. Anche nel nord della Francia, nel Belgio e in Olanda colle corteccie del cacao si prepara una bibita salubre e piacente. Gli involucri e i germi si utilizzano dagli indigeni per nutrizione dei montoni e come ingrasso. Inoltre dalle sementi si cava un olio che ha la consistenza del burro e si chiama burro di cacao, che è un eccellente cosmetico. Si amministra internamente negli organi della digestione, respirazione e dell'apparato orinario, esternamente nell'intestino retto, perstitichezza, emorroidi, screpolature delle labbra, mammelle, ecc., e viene spesso falsificato con sego, midollo e cera. Del Theobroma se ne conoscono da 15 a 18 specie, delle quali le principali sono: la Bicolor, la Guajanense, la Cacao e la Speciosum. Dalla Cacao e Guajanense se ne cava il cacao del commercio. Le regioni che danno il cacao migliore sono Soconusco nel Messico, i cui grani di scarto servono per moneta, ed Esmeralda nella Repubblica dell'Equatore, ma diffìcilmente quel cacao arriva fino a noi. Dopo viene il Caracca, delle Antille, S. Domingo, Giammaica. Nel 1518 all'epoca della conquista del Messico, il cacao era la principale alimentazione del popolo Messicano. Il suo nome di Theobroma, dal greco — da Theos, Dio, e da broo per brosco, mangiare — Cibo divino. Fu Linneo che lo chiamò cosi — alcuni dicono perla sua passione alla cioccolatta, altri per deferenza al suo confessore, altri ancora per galanteria, essendo stata una regina, Anna d'Austria, che per la prima la introdusse in Francia.
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che in commercio, vengono sotto il nome di grani, semi o fave di cacao, e che torrefatti od abbrustoliti convenientemente si mangiano e servono a
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove anche oggi si trova allo stato selvaggio. Dà fiori candidi, olezzanti in luglio ed agosto, simili a quelli del gelsomino di Spagna. Ai fiori succedono bacche rosse come le ciliege, che maturano 4 mesi dopo la fioritura e che racchiudono due grani o semi che sono quelli che tosti[mo, e che ci danno la deliziosa bevanda del caffè. Questi semi quando sono verdi e maturi sono circondati da una polpa dolcigna bona a mangiarsi. Si propaga per seme. Da noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Molta, Borbone e Martinica, che da noi è sostituito col Porto Rico. Il migliore caffè è quello che proviene dalla sua patria primitiva, ma rarissimamente giunge in Europa. Il Moka, o Levante (dal nome del suo antico porto di esportazione) è un prodotto del Yemen montuoso, il suo colore ricorda quello del the e questo pure rarissimamente ci perviene. È consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka, è Moka di Zanzibar, di Aden e di Giava, a piccoli grani, accuratamente scelto.
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rarissimamente ci perviene. È consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka
L'Olanda tiene il principale mercato del caffè di Giava, come la Germania di quello di Manilla, Londra e Liverpool di quello di Ceylan. Il Borbone à molta somiglianza col Moka, dal quale ebbe origine, è una delle qualità più ricercate del mercato francese. Fra le mille varietà di caffè che ci manda l'America, la quale fornisce la metà del caffè che si consuma in tutto il mondo, quelle di Campinas, Jungas e Santes sono le migliori, le più scadenti quelle di Baia, Para, San Domingo. Il caffè di Martinica gode riputazione universale, viene immediatamente dopo i migliori Moka. Il vero Martinica è raro però in commercio. Nel 1872 se ne esportarono soltanto 6000 chilogrammi. Sotto il nome di caffè di Martinica, oggi si vendono le qualità scelte ed accuratamente mondate di Guadalupa e Porto Rico.
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raro però in commercio. Nel 1872 se ne esportarono soltanto 6000 chilogrammi. Sotto il nome di caffè di Martinica, oggi si vendono le qualità scelte
, e Brillat-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fu tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. È nemico assoluto dei cantanti ai quali annebbia la voce. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con essa. Le foglie del carciofo fresco allontanano le cimici. Varrone insegna che a macerare la semente in sugo di rose, gigli, alloro si à carciofi del sapore di questi. Un cronista napoletano ci tramanda che celebre per cucinare i carciofi fu Cleope da Vanafro. Vogliono che il nome di Cinara fosse quello di una bellissima ragazza che Giove, quand'era lui al potere, mutò in articiocco e cardone, nome che ancor rimase a questi.
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la voce. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con essa. Le foglie del carciofo fresco allontanano
E eminentemente farinosa, dà una sana ed abbondante nutrizione. La lessata è più digeribile, irroratela di vino generoso, se non confà al vostro stomaco non ditene male. Mille le maniere di far cocere le castagne. A lesso dette succiole o Ballotte, cotte in poca acqua, sale, finocchio, anice, o con una pianta di sedano. Lessate monde (peladei o pest) sbucciate e cotte con o senza la loro peluria in acqua, sale ed erba bona. Anseri o Vecchioni (Bellegott) quando cotte a lesso, si fanno disseccare al fumo nel serbatoio, sotto la cappa del camino (agraa). Il nome di Bellegott viene da bei e cott (belli e cotti). Bruciate (Boroeul) cotte nella padella a fiamma. Biscotti (Bescott) varietà dei Vecchioni, si mettono a seccare col guscio e poi si tengono alcun tempo nel mosto. A questi appartengono i cuni, da Cuneo, loro provenienza, cotte in forno spruzzate di vin bianco, serbevoli per molti mesi, delicatissime. Le Veronesi (Veronès) così dette perchè tale maniera di cocerle, ci venne dal Veronese — e si cociono nel forno o nella stufa spruzzate di vino, o con poco di burro in casserola. I marroni si fanno anche candire nello zuccaro dopo essere stati arrostiti e si chiamano marrons glacès — è confettura da dessert. La castagna forma l'alimento principale dei montanari. Nel Sienese se ne fa polenta, che nutrisce i più strenui faticatori, i quali, non avendo che acqua da bere, dicono scherzando che vivono: del pane dei boschi e del vino delle nuvole. Il Castagnaccio è una specie di pane, fatto con farina di castagna, pinocchi e uva. Fino dalla più remota epoca le castagne tennero il primato fra tutte le sorta di ghiande. Ateo, insigne medico di Antiochia, che le chiama Sardinias glandes perchè le migliori qualità venivano dalla Sardegna, non si perita a rilasciar loro il brevetto di
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(Bellegott) quando cotte a lesso, si fanno disseccare al fumo nel serbatoio, sotto la cappa del camino (agraa). Il nome di Bellegott viene da bei e cott
. Può essere che da Ceresunto, dove, a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno dei generali di Alessandro il Macedone, parlava già delle ciliege della Campania coll'acquolina in bocca. Nelle torbiere di Dax, nelle Lande, si riconosce perfettamente il tronco del ciliegio. Chi ne volesse sapere di più, legga la Cersalogia medica (Basilea, 1717), monografia scritta dal celebre Dollfuss.
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Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno
Il suo nome dal latino coepa, o capite, capo, perchè è la maggiore fra le capitate della specie. Bulbo bisannuale conosciuto che vuolsi originario dall'Egitto, ma realmente la sua patria è sconosciuta. La si è trovata allo stato selvaggio anche nell'Himalaya. Ama terreno sostanzioso ma leggiero. Si semina da febbraio a maggio in luna vecchia, fiorisce in giugno e luglio, matura in autunno, e si conserva per tutto l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Spia. Si semina pure in estate ed autunno per averle nella successiva primavera. Chi desidera avere cipolline giovani ne semina ogni 15 giorni fino ad agosto irrigandole, e quando sono della grossezza d'un dito mignolo si trapiantano. La semente conserva la virtù di germogliare per tre anni. Molte varietà — le tonde e le depresse, le bianche e le rosse o gialle. Da noi più ricercate per sapore sono quelle di Como ed in particolar modo quelle di Brunate. È questa una radice importantissima che fa la sua comparsa cotta e cruda nella ciottola del contadino, e, sotto mentite spoglie, forma la base di tanti manicaretti e salse squisite, che si imbandiscono alla tavola del ricco. È condimento ed alimento. Nella cucina milanese la cipolla è come l'aglio uno dei principali suoi ingredienti. Per molti è indigesta cotta, per altri cruda, per altri ancora e cruda e cotta. Vogliono che tagliata a pezzi è lasciata alcun tempo nell'acqua perda la sua acredine e riesca molto dolce. La cipolla fu dagli Egiziani elevata agli onori della divinità. Fra tutte le cipolle era celebre l'ascalonia, cosi detta da Ascalone, castello della Giudea, dove venivano d'una grossezza e bontà straordinaria. Nelson e Vittorio Emmanuele la mangiavano cruda in insalata ed era uno dei loro cibi prediletti. Fino dall'antichità la cipolla cavava le lacrime, per cui quando vedevasi alcuno piangere, si diceva, teste Aristotele De problematibus: «À mangiato, o à odorato le cipolle.» Fu ritenuto anticamente come un cibo callido, massime se cruda e le si conferivano molte virtù. Donava bel colorito al viso, aiutava la digestione, promoveva l'appetito, guariva dalle morsicature dei cani:
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di Brunate. È questa una radice importantissima che fa la sua comparsa cotta e cruda nella ciottola del contadino, e, sotto mentite spoglie, forma la
, però soggiunge che fa venire la pancia obesa e cita ad esempio i custodi delle vigne, gli ortolani, onde forse l'altro proverbio: salvare la pancia per i fichi. Gli Ateniesi ne tenevano sacra la pianta, che fu loro portata da Naxio Dionisio. Filippo, padre di Perseo, in Asia cibò il suo esercito coi fichi, e Plinio difatti racconta che in molti luoghi il fico teneva luogo di pane. In Sicilia fu portato da Titano Oxilon, figlio di Osio. Dai Greci si mangiavano pure in insalata e il volgo li faceva essicare salati al sole. I Persiani ed i Greci erano ghiottissimi del fico secco. Lo cocevano colla maggiorana, l'issopo ed il pepe, e lo davano anche ai malati. Gli atleti si rinvigorivano coi fichi a prepararsi alla lotta. Si vuole che Mitridate, a sicurezza del veleno che prendeva, mangiasse fichi secchi con ruta e sale, quale antidoto. Se ne faceva pure un liquore vinoso, che chiamavano Sycites o catorchites. Fu sotto il fico che furono trovati i due fondatori di Roma, mentre erano allattati dalla lupa, che dal nome del fico, Ruminal, presero il nome di Romolo e Remo. Svetonio ci riferisce, che ad Augusto piacevano sommamente i fichi freschi, e che li mangiava anche prima di cena:
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Sycites o catorchites. Fu sotto il fico che furono trovati i due fondatori di Roma, mentre erano allattati dalla lupa, che dal nome del fico, Ruminal
. Cioè, di bergli sopra del vino, tutto all'apposto del nostro proverbio: al fico l'acqua ed alla pera il vino. La tradizione vuole che la calata dei Normanni si debba al fico, che erano golosissimi di provarne la tanto decantata bontà. Tramanda la storia romana, che il 7 luglio, una fantesca, salita su di un fico selvatico, s'accorse che i Galli, che assediavano Roma, erano ubbriachi ed immersi nel sonno e ne avvertì i Romani, che li sorpresero e ne fecero macello. Dopo di che, in onore di Giunone, sotto le ficaie selvatiche, celebraronsi dalle schiave e dalle libere unitamente le None Caprotine, o feste delle serve. Scrive infine il Simonetta, che al suo tempo, in Padova, un garzone mangiò 40 libbre di fichi al padrone, et poi si morì ethico. Castor Durante fece un poema sul fico nel 1617. La tradizione vuole che Giuda si appiccasse ad una pianta di fico.
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e ne fecero macello. Dopo di che, in onore di Giunone, sotto le ficaie selvatiche, celebraronsi dalle schiave e dalle libere unitamente le None
Polenta dolce. — Mettete a bollire in un litro e mezzo di latte con sale, tanta farina da farne una polenta non troppo dura. Giunta la polenta a mezza cottura, ritiratela dal fuoco, aggiungetevi sei tuorli d' uova sbattuti prima con una presa di canella tre o quattro cucchiai di zuccaro, due ettogrammi di burro, una dozzina di amaretti polverizzati. Fatto un impasto omogeneo, cocetelo in uno stampo unto, con fuoco sotto e sopra, fino a che la superficie prenda un bel colore dorato.
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ettogrammi di burro, una dozzina di amaretti polverizzati. Fatto un impasto omogeneo, cocetelo in uno stampo unto, con fuoco sotto e sopra, fino a che la
Tra gli eduli ricordo solo i più comuni ed i più sani: L'Agarico cesareo (fonsg coch) che era in gran pregio anche presso i Romani, e lo chiamavano il cibo degli Dei, e i poeti ne cantarono i pregi sotto il nome di boletus. — Il Boletus edulis (fonsg ferree) è il migliore fra tutti i boleti, e il più comune da noi, ed è forse il suillo essicato, che i Romani traevano dalla Bitinia.— Le clavarie (didella), ital.: ditola, sono per la più parte mangereccie, anno carne assai tenera, aromatica e di facile digestione. Si presentano d'ordinario colla ramificazione del corallo, o a forma di piccole clave, d'onde il nome. Variano di colore secondo la specie. — La morchella esculenta (spungignola), ital.: spugnola, nera, gialla e bionda, tutte mangereccie.
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il cibo degli Dei, e i poeti ne cantarono i pregi sotto il nome di boletus. — Il Boletus edulis (fonsg ferree) è il migliore fra tutti i boleti, e il
Ricetta della Maintenon. — Sfettate i funghi molto sottilmente, metteteli in un piatto che vadi al foco, spolverateli di pepe, aggiungete olio d'oliva, quando sono caldi, copriteli di tartufi sfettati, lasciate qualche momento sotto coperto, perchè vi si sviluppi l'aroma di questi e servite.
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'oliva, quando sono caldi, copriteli di tartufi sfettati, lasciate qualche momento sotto coperto, perchè vi si sviluppi l'aroma di questi e servite.
Questo non è il fiore educato nei giardini, il garofano diantus, ma un grosso albero sempre verde, che cresce nelle Molucche, dove si chiama Chanque e fatto indigeno nelle Indie orientali, a Zanzibar, nella Guajana, ecc., venne chiamato garofano da noi, perchè à appunto il profumo di questo. Raggiunge talvolta l'altezza di 12 metri, à la forma dell'alloro e vita secolare. Il nome di questo albero, rarissimo in Europa, viene dal greco carion, noce e phyllon, foglia. Nel linguaggio delle piante è l'emblema della dignità, del lusso. I così detti chiodi o punte di garofano, sono i fiorifrutti del Cariophyllus aromaticus, disseccati prima che siano maturi. I suoi fiori odorosissimi, dapprima bianco-latte, più tardi prendono un color rosso vivacissimo, per modo che l'albero è di un effetto sorprendente. Si raccolgono i fiori innanzi che si aprano, da settembre a febbraio, si fanno essiccare al sole, e sotto l'influenza dell'aria e della luce, l'essenza che in abbondanza contengono li imbrunisce e loro comunica quella tinta bruno-rossa caratteristica, che si chiama bruno di garofano. Ànno la forma di un piccolo chiodo (d'onde il loro nome), sapore forte, piccante, piacevole. Sono coronate da quattro punte ed il peziolo capolino che trovasi nel mezzo è il fiore risecco. In commercio si conosce il garofano di Borbone e di Cajenna, ma il migliore è quello delle Molucche, ed è perciò che sotto questo nome passa quello di Zanzibar, da dove ne vengono importati in Europa circa 30.000 quintali annualmente. Le buone punte di garofano devono essere rigonfie, tenere sotto la pressione dell'unghia, si deve vedere escir l'olio essenziale, e ciascuna punta dev'essere provveduta della sua testa intera. Se l'ànno perduta, se sono leggere, dure, la merce è vecchia o già spogliata della sua sostanza con la distillazione. Il garofano si falsifica principalmente in Olanda. I chiodi di garofano si adoperano più come aroma nella cucina e nella distilleria, che come medicamento. Sono per altro stimolanti e si possono amministrare sotto diverse forme a dosi misurate. Dai Molucchi allorchè sono verdi si condiscono con aceto e sale. L'olio di garofano è usato come profumo, e per calmare come cauterizzante i dolori dei denti offesi. Si falsifica con olii, grassi, e allungato con alcool. I frutti del garofano sono conosciuti sotto il nome di Antofli. Sono mandorle quasi secche contenenti un nocciolo duro — ànno sapore e odore di garofano, ma leggero. Freschi, si condiscono con zuccaro e si mangiano dopo il pasto per facilitare la digestione. I peduncoli rotti vengono chiamati griffi di garofano, sono piccoli branchi minutissimi, grigiastri, d'un sapore e odore fortissimi. S'impiegano nella distilleria per liquori e profumi. Era conosciuto il garofano dai Greci e dai Latini come droga e come medicamento e ne era celebratissimo. Ne parla Serapione e Plinio al 12.° lib., c. 7. Ne parlò Lodovico Romano al G.° lib., c. 25, e Marco Paolo Veneziano al 12.° lib., c. 38. Presso i Romani serviva anche a dare un bon alito alla bocca. Entra nella cucina a dar sapore ed aroma ai manicaretti, allo stufato, al manzo, al pesce, alla frutta — si adopera nella pasticceria, nella confezione del vino brulè.
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al sole, e sotto l'influenza dell'aria e della luce, l'essenza che in abbondanza contengono li imbrunisce e loro comunica quella tinta bruno-rossa
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in giugno, frutti o bacche rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda di giuggiole.
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matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
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che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo
Zuppa di lenti. — Mettete dell'acqua a bollire, e al primo bollore, gettatevi un quarto di litro di lenti secche, ben mondate, levate quelle che si portano a galla e lasciate cuocere le altre, fino a che si schiaccino sotto le dita, indi mettetele a sgocciolare in un crivello. Preparate intanto in una casserola dell'olio fino con prezzemolo e foglie di salvia e qualche acciuga tutto tritato alla mezzaluna. Preso il color d' oro unitevi le lenti, rimestatele, bagnatele con sugo d' olio e lasciatele cuocere al foco lento, scuotendole di tanto in tanto. Dopo pochi minuti versate brodo e lenti e delle fette secche di pane tostato alla gratella.
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portano a galla e lasciate cuocere le altre, fino a che si schiaccino sotto le dita, indi mettetele a sgocciolare in un crivello. Preparate intanto in
. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela diffìcilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella; serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro delle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, indigesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'ammoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del mandorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte, figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo, come il suo promesso sposo non compariva, si impiccò e fu da quei bonissimi dèi cambiata in màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari prima, dolci poi, essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci, divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della mandorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice:
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màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
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Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e
Conservazione delle noci. — Colte le noci al punto della loro maturanza, dovete subito riporle sotto la sabbia asciutta ed in luogo fresco. Con questo modo conserverete le noci fresche per tutto l'anno.
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Conservazione delle noci. — Colte le noci al punto della loro maturanza, dovete subito riporle sotto la sabbia asciutta ed in luogo fresco. Con
. Tutti gli scrittori greci e latini ne parlano, magnificandone i benefici. Columella lo chiama addirittura: Olea omnium arborum prima. Le foglie e le scorze ànno sapore amaro e danno un succedaneo al chinino nelle febbri. Nelle regioni cocenti dell'Africa e nelle meridionali d'Italia, principalmente nelle Puglie e nelle Calabrie, dal tronco dei vecchi alberi cola un succo addensato che si chiama Gomma d'olivo o Gomma di Lecce; è una resina balsamica che, soffregata, dà odore di vaniglia e, bruciata, di acido benzoico. Gli antichi la facevano venire dall'Etiopia e l'avevano molto in pregio come profumo e rimedio balsamico, tonico, oftalmico. Il legno, durissimo, serve per i tornitori. L'olivo fu portato nell'Arca dalla colomba, simbolo di pace tra il cielo e la terra. Il Redentore si ritirava sul monte degli Olivi a pregare dal suo divin Padre il ritorno di questa pace, e la Chiesa nel suo rito, benedice l'olivo e lo distribuisce ancor oggi segnale di pace a' suoi fedeli. Sulla fede di Plinio moltissimi pretendono che l'olivo sia originario dell'Asia, e non sia stato portato in Italia che sotto Tarquinio Prisco, verso il 180 dalla fondazione di Roma. Ma come nota il Bortoloni, forse allora solo, s'incominciò a coltivarlo, ma l'olivo selvatico è assolutamente indigeno di tutti i climi caldi e temperati d' Europa. Presso noi, quattordici secoli fa, il poeta Claudiano già ne scriveva:
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originario dell'Asia, e non sia stato portato in Italia che sotto Tarquinio Prisco, verso il 180 dalla fondazione di Roma. Ma come nota il Bortoloni
La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solarium, sollievo), nel linguaggio dei fiori: Beneficenza, è una radice tuberosa originaria dall'America e precisamente dal Chili e dal Perù, dove si trova ancora allo stato selvaggio. Fu importata colla Dalia, e, curioso ! questa per il tubero, la patata per il fiore. Propriamente il nome di patata appartiene ad altra pianta, la vera patata ipomea o convolvulus patata, che viene solo nei climi caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l'Equatore (Quinto) come nella Siberia. Da noi si raccolgono i tuberi dall'agosto al settembre, à fiori bianchi e violetti. Si propaga per seme o meglio si piantano i così detti occhi, che sono le parti della patata accennanti al germoglio, cessato il gelo da metà marzo in avanti. Si conservano per tutto inverno, ma al caldo fioriscono, all'umido marciscono, al freddo gelano, e temono la luce. Fu portata in Europa dagli Spagnuoli. Pedro Cicca fu il primo a parlarne nel 1553, e nel memedesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venezuela a suo fratello. Il Cardano ne fa menzione nel 1557. Nel 1565 fu portata in Irlanda da Hawkins e poi introdotta in Francia. Prima che Releigh e Drake dalla Virginia la trasportassero in Inghilterra, era coltivata in Toscana, ne fa fede il frate Magazzini, e il Redi che nel 1067 ne mangiava in Firenze alla corte di Cosimo II. Le patate in Italia dapprincipio si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di lusso. Ma la sua diffusione, come tubero alimentare, fu lenta e contrastata. I codini d'allora, la avversarono come pianta sospetta, venefica. Ai codini si unirono i medici più celebri, che la incolparono della degradazione fisica e morale delle popolazioni, e fomite di tutte le malattie. Ai codini ed ai medici fecero coro anche i frati ed i parroci che dai pulpiti la chiamarono radice del diavolo. Figuratevi il popolo! Anche oggi la coltura della patata è interdetta in Corea. Non fu che sulla fine del secolo passato che potè trionfare. Gli sforzi fatti da Parmantier per convincere gli ostinati sono incredibili. Il 25 agosto 1785, proprio nel giorno della sua festa, Luigi XVI lo ammise alla mensa reale e Maria Antonietta, al ballo della medesima sera, ne ornò i suoi biondi capelli.
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caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l
Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in piatto scoperto. Si deve sempre farla cocere nella sua pelle onde conservi il suo sale di potassa e tutto il suo sapore, nè dovrebbesi tagliarla con lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro.
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Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola
Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollaio. Sotto l'aspetto medico, Redi scriveva: «Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che Io abbiano, se sieno mangiate soverchiamente.» È antiscorbutica e serve, cruda raschiata, come cataplasma nelle piaghe cancrenose, è rimedio volgare nelle scottature. I pediluvi di acqua di patate calmano la gotta ed il dolore alle ginocchia ed alle mani.
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Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollaio. Sotto l'aspetto medico, Redi scriveva: «Hanno le patate nome d'essere un po' ventose
Patate al lardo. — Fate friggere dei piccoli pezzi di lardo. Quando ànno preso colore aggiungetevi un mezzo cucchiaio di farina che si farà tostare sotto continuo rimescolamento. Condite con pepe, poco sale, una pianticella di prezzemolo, una mezza foglia di lauro e bagnate il tutto con acqua e brodo. Dopo cinque minuti di bollitura gettatevi dentro i pomi di terra crudi e tagliati a fette. Cotti che siano togliete la pianticella di prezzemolo e la foglia di lauro, sgrassate e servite.
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sotto continuo rimescolamento. Condite con pepe, poco sale, una pianticella di prezzemolo, una mezza foglia di lauro e bagnate il tutto con acqua e
Pesche à la fambroise. — Decorticate e spaccate in due delle belle pesche, levatene le ghiande e disposte in una tortiera, fatele cocere in acqua e zuccaro fino a che il liquido si levi in bolle. Toglietele allora dal foco e versate nella loro cavità centrale qualche goccia di rosolio e della conserva di lamponi. Tenetele sotto ad un testo coperto di brace fino all'istante di servirle.
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conserva di lamponi. Tenetele sotto ad un testo coperto di brace fino all'istante di servirle.
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una màndorla verde coperta d'una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gii Arabi lo chiamano pustach, e gli Olandesi pistassies. Vuoisi che chi lo portò in Italia fosse il console romano Lucio Vitellio, sotto Tiberio, di intorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo, in Spagna.
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fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi
. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori, designarono le frutta in genere, ma, se ciò avvenne, era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, cosi il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma, il Dio del pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno:
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pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L
Solone aveva ordinato che alla mensa delle nozze fossero apprestati dei pomi cotogni, agli sposi. Questo frutto non dura molto. Si candisce, se ne fa sciroppo ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni catarrali di petto. Entra nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto la cenere, ne fa torte, pasticci ed offelle. À virtù astringente. Da' suoi semi ovali, accuminati, se ne cava una mucilagine che, Pareira, chiamò cidonina, che la medicina adopera internamente a mitigare i dolori delle fauci e dell'esofago, prodotti da qualche acre, corrodente sostanza; esternamente, a modo di colirio nelle infiammazioni delle palpebre congiuntive; questa mucilagine à virtù analoghe alla glicerina. I parucchieri la vendono molto cara, sotto il nome di bandoline per lisciare e fissare i capelli. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca; anzi, Plinio insegna a cocerli nel miele, Galeno e Paolo Egineta lo magnificano come migliore delle poma, e non solo gli decretano summam auctoritatem in mensis, et culinis, ma anche come medicamentum.
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sciroppo ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni catarrali di petto. Entra
Plinio però anteponeva a questi, quelli d'Egitto. E difatti gli Ebrei, tolti alla schiavitù da Mose, rammentavano sospirando i cocumeri, i meloni, i porri, le cipolle e l'aglio d'Egitto! (Num. 2). Acrone, medico agrigentino, amico di Empedocle, li faceva cocere sotto la brace. Nerone li mangiava spesso, perchè diceva che i porri lo facevano cantar bene. Taddeo, medico fiorentino insignissimo, che li mangiava crudi con sale, dice che purgano lo stomaco e provocano l'appetito. Marziale condannava i porri tarentini pel cattivo odore che lasciavano in bocca:
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porri, le cipolle e l'aglio d'Egitto! (Num. 2). Acrone, medico agrigentino, amico di Empedocle, li faceva cocere sotto la brace. Nerone li mangiava
sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dai Tedeschi e Rafano di cavallo dagli Inglesi. Nel linguaggio delle piante: Sdegno. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Grattugiata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati, molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra ed una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti-scorbutico, diuretico, antireumatico. Applicato esternamente è succedaneo ai vescicanti. Raschiato, supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Disseccato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa, che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno bono, è molte volte nocivo.
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'insalata. I frati, molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In
. Marco Catone, della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui, che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti-flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai maiali, ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice:
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viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace
— Scegliete rape di eguale grossezza, tagliatele a forma di pera, mettetele per due minuti nell'aqua bollente, lasciate scolare, mettetele sul fondo d'una casserola unta di burro, una vicina all'altra. Dopo aver loro fatto prendere il colore con burro e zuccaro, mettetevi un po' di brodo bono, aspergendole di zuccaro in polvere, una presa di sale e un pezzo di cannella non rotta. Mettete la casserola, coperta, al fornello, con foco sopra e sotto. Cotte, scopritele e riponetele in un piatto asciutte. Indi unito un po' di brodo bono, a quello che resta nella casserola, date un bollo e ritirate la cannella, versate la salsa sulle rape e servite.
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, aspergendole di zuccaro in polvere, una presa di sale e un pezzo di cannella non rotta. Mettete la casserola, coperta, al fornello, con foco sopra e sotto
Risotto milanese. — Fate friggere in una casserola del burro e della midolla di manzo, o meglio grascia di rognone di vitello, con cipolla ben trita. Tirate la cipolla color d'oro, e mettetevi il riso, che lascerete tostare un poco rimenandolo col mestoletto, quando è tostato, gettatevi dentro un bicchiere di vino bianco e consumato il vino mettetevi lo zafferano che basti a renderlo d'un bel colore dorato e a poco a poco del brodo, lasciandolo bollire allegramente con fuoco vivo, finchè sia cotto a denso ma non troppo. Frattanto che bolle stemperatevi dentro del cervellata e del formaggio di grana rimenandolo continuamente. Tolto dal foco, alla sua cottura al dente, lasciatelo in riposo qualche minuto sotto il coperchio della marmitta.
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grana rimenandolo continuamente. Tolto dal foco, alla sua cottura al dente, lasciatelo in riposo qualche minuto sotto il coperchio della marmitta.
. Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti-etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventare bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Si dice che il riso come viene va, viene dall'aqua e in aqua va. Il riso è la ricchezza dei nostri fittaioli: Fittavol de ris, fittavol de paradis.
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Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte
I medici francesi la battezzarono teriaca naturale. La salvia veniva creduta donare l'immortalità e serviva per imbalsamare i corpi e si portava addosso e si mangiava nelle battaglie. Servio ci tramanda che il cuoco di Mecenate faceva arrostire gli uccelletti colla salvia. La salvia è un cibo graditissimo alle api, dai suoi fiori cavano un miele saporito. Le sue foglie servono a pulire i denti. Frate Anselmo da Busto suggeriva ai predicatori e agli avvocati di tenere una foglia verde di salvia sotto la lingua, che la rende più agile e sciolta. Guardatevi dal suggerire tale segreto alla vostra domestica. Coi fiori della salvia si prepara una conserva deliziosa. Le foglie secche si fumano come tabacco, quale rimedio antispasmodico contro la cefalalgia nervosa e l'asma. I Chinesi ne sono ghiottissimi e si stupiscono come gli Europei vadino a cercare il the nei loro paesi, mentre possedono una pianta.
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agli avvocati di tenere una foglia verde di salvia sotto la lingua, che la rende più agile e sciolta. Guardatevi dal suggerire tale segreto alla vostra
L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi zufolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella, di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatoz, che vuol dire ottimo, altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bacche verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornaio che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente al bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti, quando sono maturi e neri, servono a tingere le acque ed i vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseante e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E sambuco vertigines sonnusque profundus: dal sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bacche nere, fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse in aceto, come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi per fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini, li libera dalle zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli, si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebutus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
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fare orinare i cavalli, battendoli con essi sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo
La segale è pianticella germinacea, annua, indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in autunno e raccogliesi nell'estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: Bisogno. Matura più presto del frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di diffìcile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'aqua, la farina di segale serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fa impazzire). La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoie, grondaie, ecc. Una specie di malattia che sopravviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergot. Il suo nome dal celtico segàl che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fa menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
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generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino
Il sesamo, detto anche giuggiolena, è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e dell'umido. Nel linguaggio dei fiori significa: Indifferenza. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda facilmente nei suoli fertili. Fornisce un fusto alto un metro, diritto, erbaceo, quasi cilindrico, assai ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48 per cento di olio che è cosi limpido e gustoso da rivaleggiare colle migliori qualità dell'olivo, per le quali viene sovente venduto, essendo l'olio di sesamo riconoscibile solo per contenere meno sostanza. Inoltre l'olio di sesamo à il merito di non mai irrancidire. Il vantaggio dell'olivo su questa pianta, è quello di poter allignare anche in luoghi erti
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Il sesamo, detto anche giuggiolena, è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
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sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
Torta di spinacci. (Mil.: scarpazza). — Alessati, spremuti e ben triturati gli spinacci, struggete a lento fuoco in una casserola un pezzo di burro con un pizzico di farina, unitevi gli spinacci e rimestateli per cinque minuti. Indi versatevi dentro un pantrito di latte in quantità tale che la torta non resti nè troppo densa nè troppo liquida, e continuate a rimestarla finchè bolla, poi tolta dal fuoco mettetevi qualche mandorla amara pesta, un po' di formaggio grattugiato, canella in polvere, tre uova intere e sbattute, per ogni bicchiere di latte già messo. Bene incorporato il tutto, distendetela in una fortiera unta di burro e spolverizzata di pane grattugiato. Cocete cosi la torta dopo di avervi sparsi sopra dei pinocchi, con fuoco sotto e sopra. Così preparate le torte di cardi, coste e carote.
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sotto e sopra. Così preparate le torte di cardi, coste e carote.
Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal luglio a tutto ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essiccate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essiccata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie,, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzate e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione, quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare, come ingrediente principale, l'elettuario lenitivo, giova agli stitici, onde quel proverbio: mangiando di molte susine, saran di quaresima molt' erba. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve egli intarsiatori. La Scuola Salernitana, dice:
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. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più
Fu nel Medio Evo e in Italia che si incominciò a impiegarvi il porco. Il Platina, del secolo XVI, nel suo libro De honesta uoluptate dice, che niente raggiunge l'istinto della scrofa di Norcia per scoprire i tartufi sotto terra. Dall'Italia questo modo passò in Francia dove il porco venne chiamato, con stile poetico, porc de course, couchon levrier, e il porco è ancora il principale agente di questa caccia. Un altro ausiliario del ricercatore dei tartufi è il cane. L'uso del cane è antichissimo, e naque pure in Italia. L'Inghilterra, dove il tartufo è poco comune, la Germania stessa, la Francia, ànno avuto da noi i barbini, come maestri modelli nell'arte. Nel 1724 il conte di Wakkerbart li portò in Sassonia a farne la caccia a Sedlitz. Augusto II re di Polonia, nel 1720 ne fece venire dall'Italia dieci che costarono cento talleri ciascuno. Fu pure un italiano, Bernardo Vanini, che ottenne il monopolio dei tartufi nel Brandeburgo, coll'obbligo di fornirne la cucina di Corte. Anche il Würtenberg ebbe due barboni dalla corte di Torino e in Germania vennero di moda e si chiamavano truffel-hunde, e canes tuberario venatici. Anche altre razze di cani sono suscettibili di questa educazione. L'uomo pure, di fine odorato, può fare questa caccia. La terra sollevata in certi punti, o presentante una fenditura, tradisce la presenza del tartufo più vicino al suolo e più precoce. Provatevi, e se non troverete il tubero, troverete certamente.... un sasso. Altra spia del tartufo è una certa specie di mosca detta helomyza (da helmius, verme) tuberivora, più lunga delle mosche comuni, d'un colore giallo-rosso, colle ali color fumo e macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria sorvolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del quale è ghiotta. È questa mosca, ed altre sue parenti prossime, che diedero ad intendere per molto tempo, essere i tartufi una particolare loro produzione, mentre invece ne erano le divoratrici. Fra questi segnali, il più conosciuto è l'ingiallimento, lo stato morboso ed anche la morte delle piante erbacee e dei piccoli arboscelli che vegetano sul luogo del tartufo. L'epoca della raccolta del tartufo in Francia è da novembre a marzo, ma sopratutto nel periodo di Natale. Ne sono ricche la Provenza, la Linguadoca, il Querey, il Pèrigord ed il Poitu. Il tartufo nero, o la melanospora è comune in Italia, Francia, Spagna, va fino in Inghilterra, a Rudloe nel Wiltshire, nella Sassonia e nell'Austria. Ne sono abbondanti da noi le montagne della Sabina e sopratutto Norcia. Il sapore, l'aroma ed il colore variano a seconda dei paesi. Quella di Piemonte è bianca e sarebbe il tuber hyemalbum. Pare che la bianca sia più propria dei paesi del Nord, o per lo meno la vi si trova più frequente. Avvi anche il tartufo rosso (tuber rufum) che in Provenza si chiama mourre de chin (muso di cane) che per il suo odore speciale è rigettato dal commercio. Vi à il falso tartufo, la genea verrucosa detta in Piemonte cappello di prete, il melanogaster variagatus, o muscato, la balsamia vulgaris, detta rosetta da noi. Si mangiano dai pochi intelligenti. Il solo tartufo falso che sempre si mangiò e si mangia ancora dagli Arabi è la terfezia leonis, o tartufo del deserto e delle sabbie. Dev'essere di quest'ultima specie il tartufo cucinato dai Romani che serviva a dar sapore alla salamoja e ad altre irritamenta gulae. Gli Ateniesi concedettero ai figli di Cherippo la cittadinanza, per avere introdotto un nuovo modo di cucinare i tartufi. L'Archistrato, o capo-cuoco in Atene, faceva servire alla fine del pranzo dei tartufi cotti col grasso, sale, ginepro e canella, e spruzzati di vino del Chjo. Cecilio Apicio, il celebre cuoco che viveva sotto Trajano, ci à lasciato varie ricette dei tartufi nella sua De re culinaria. Avicenna, oracolo della medicina d'allora, raccomanda di pelare i tartufi e di tagliarli a pezzi, farli bollire con aqua e sale, poi farli cocere con erbe aromatiche e servirli colla carne salata. Marziale antepone i funghi ai tartufi dicendo:
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raggiunge l'istinto della scrofa di Norcia per scoprire i tartufi sotto terra. Dall'Italia questo modo passò in Francia dove il porco venne chiamato
Teofrasto dice che i tartufi di Grecia erano insipidi. Avicenna vuole che i migliori tartufi abbiano il colore della sabbia del deserto. I sacerdoti d'Esculapio furono i primi a farne delle bizzarre e strane applicazioni. Venute a conoscersi le virtù del tartufo da Podalinio e dal centauro Chirone, solo i ricchi potevano aquistarlo per l'enorme prezzo a cui era salito. Il tartufo, com' era cibo ghiotto dei Greci e dei Romani, lo divenne, al tempo delle crociate, nelle Corti di Spagna, Toscana e in quella papale di Avignone e Roma. Dalla Spagna, il tartufo passa alle mense francesi nel secolo XVI, ma fu misconosciuto allora, ed il poeta Descamps, che viveva sotto Carlo VI, compose contro il
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XVI, ma fu misconosciuto allora, ed il poeta Descamps, che viveva sotto Carlo VI, compose contro il
) per un tempo prolungato, onde possa produrre salutari modificazioni nell'organismo. Essa ingrassa, è sostanza nutriente, riconfortante nell'atonia-languore del ventricolo, nella gastrorrea, conviene nella pletorrea addominale, calma l'irritazione degli organi respiratori, mitiga la tosse, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante aque minerali, del siero e dell'olio di fegato di merluzzo. Questa cura è in favore più all'estero che da noi. Si fa sistematicamente ed in grande in Germania, a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
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cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
La parola zafferano è d'origine araba. Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dell'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori, che dà in autunno sono ordinariamente di un colore violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine. Ama terreno asciutto, forte, ben esposto e sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo madre, e si piantano in agosto. Varietà: il Crocus vernus, il Crocus multiflorus e lungiflorus, che nasce selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come l'aglio e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi, e perisce sotto il 15°. Lo zafferano à sapore piccante ed amaro, odore forte particolare. Il suo nome crocus, da crochè, filo, per gli stilli filiformi che costituiscono il suo fiore.
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selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come l'aglio e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi, e perisce sotto il 15°. Lo
luoghi inondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una panocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che servono ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi, da marzo a tutto aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi, è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro, dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la panocchia, si sfoglia, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta, e perciò è necessario cocerlo prontamente e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione, sinchè è ridotto allo stato di sciroppo, d' onde il melazzo o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione, sono sempre più grassi ed oscuri, e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani, dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dall'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono, friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro; percosso con un ferro nell'oscurità, tramanda della luce; la sua cristallizzazione è minutissima, serrata e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione, si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa, in America ed altrove, s'adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile l'impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum, si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione, si passa alla distillazione.
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sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo